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Il morbo di Parkinson appartiene alle patologie solitamente definite “Disordini del movimento”, i sintomi infatti legati al movimento sono davvero tanti, evidenti e compromettono la vita della persona. Purtroppo vi sono anche altre manifestazioni di tipo non motorio. All’interno di questo articolo analizziamo i sintomi del morbo di Parkinson e cerchiamo di risolvere alcuni dei dubbi più frequenti.
Il morbo di Parkinson (dal chirurgo londinese James Parkinson che per primo descrisse i sintomi della malattia) è una patologia neurologica di tipo degenerativo che coinvolge in particolare il controllo del movimento e dell’equilibrio.
Colpisce egualmente gli uomini come le donne e solitamente emerge intorno ai 60 anni, più rari i casi in cui si manifesta in età giovanile tra i 20 e i 40 anni. La malattia coinvolge il cervello, più specificatamente i gangli della base, quindi in profondità, ove sono gestiti i movimenti.
Il morbo di Parkinson si manifesta quando decrementa in modo significativo la produzione di dopamina nel cervello. Questa riduzione è determinata da una degenerazione dei neuroni a livello dell’area della Sostanza Nera.
La patologia di Parkinson inizia con una fase definita preclinica: ovvero il periodo di tempo, all’incirca un quinquennio, tra il principio della degenerazione neuronale e la comparsa dei primi sintomi motori.
Fattori genetici: il 20% dei pazienti ha in famiglia casi di Parkinson, quindi evidentemente vi sono dei geni mutati che predispongono i soggetti ad accogliere la malattia.
Fattori tossici: l’esposizione ad alcuni pesticidi (Paraquat), idrocarburi, solventi (trielina) ed elementi (metalli pesanti come ferro, zinco e rame).
I traumi alla testa possono portare al morbo di Parkinson, è una malattia piuttosto comune tra gli ex pugili. Può essere causato anche dall’arteriosclerosi celebrale.
I sintomi del morbo di Parkinson sono di diverso tipo e non colpiscono tutti allo stesso modo. Chi è affetto da questa malattia ha l’andatura parkinsoniana.
I sintomi progrediscono in modo diverso da paziente a paziente, per alcuni occorrono più di vent’anni prima che vi sia un peggioramento, per altri tempi decisamente inferiori.
I sintomi manifesti a livello del movimento del soggetto affetto sono in particolare il tremore a riposo, la rigidità dei movimenti, e, in un secondo momento, l’instabilità della postura e quindi la perdita dell’equilibrio.
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Il morbo di Alzheimer è una fatale malattia del cervello che provoca un lento declino delle capacità di memoria, del pensare e di ragionamento. Se Lei o una persona cara state vivendo difficoltà di memoria o riscontrate altri cambiamenti nelle capacità di pensare, non ignoratele. È necessario consultare un medico per determinarne la causa.
Sito web: https://www.alz.org/
Questi sintomi hanno la particolarità di manifestarsi prevalentemente da un lato del corpo rispetto ad un altro, sono asimmetrici.
I diversi sintomi non sono sempre evidenti e non emergono sempre in egual modo, ma sono incostanti, subdoli e lenti, per questo anche accorgersi della malattia non è scontato.
Non è presente in tutti i pazienti, ma sicuramente nella maggioranza. Esso si mostra in particolare quando la persona è a riposo, ovvero quando non sta eseguendo movimenti. Generalmente si assiste al tremore di una mano, ma altri casi interessano i piedi e la mandibola. In linea di massima si parla di 5-6 movimenti al secondo, un sintomo evidente, fastidioso ma non considerato comunque invalidante. È uno dei sintomi che se compare, lo fa nelle fasi iniziali e comprende anche in principio un tremore interno, ovvero non è visibile, ma è sentita dal paziente.
Il tono dei muscoli aumenta con la malattia. Molti malati non la avvertono in modo chiaro, ma percepiscono una sensazione generale di disagio che colpisce collo, arti, tronco. La rigidità risulta evidente quando il soggetto cammina: gli arti superiori non oscillano e i movimenti sono lenti e impacciati.
La lentezza nei movimenti legata al Parkinson determina specificatamente la bradicinesia, ovvero il rallentamento di esecuzione dei gesti, e l’acinesia, cioè la pratica difficoltà di fare spontaneamente un movimento. Questi sintomi sono molto evidenti poiché fastidiosi nel normale svolgimento delle azioni quotidiane.
Questo sintomo compare tardi nell’evolversi della patologia e coinvolge l’asse del corpo. Il rallentamento dei riflessi di raddrizzamento genera una difficoltà nel soggetto di correggere in modo spontaneo gli squilibri, quindi un semplice cambiamento di direzione può dare difficoltà e dare luogo a una caduta.
La camminata di un paziente affetto da Parkinson è rigida, poiché non oscilla le braccia e il movimento è asimmetrico. Anche i passi sono molto disomogenei, talvolta si arriva quasi a strisciare un piede a terra e a camminare in modo quasi accelerato per riequilibrare il baricentro.
Il tonco è piegato in avanti, come le mani che sono tenute vicino al tronco. Le gambe sono flesse.
Sono in particolare disturbi vegetativi: ovvero disfunzioni a livello delle viscere, dell’olfatto, del dormire, dell’umore, della percezione cognitiva, dei dolori e della fatica.
La diagnosi deve essere fatta da un neurologo, il quale valuta come prima cosa i sintomi. Non vi sono esami che la identificano ma, quando il medico ha i dati necessari per sostenere la sua ipotesi, procede con la somministrazione di farmaci per vedere qual è la risposta da parte dell’organismo.
Alcuni esperti sostengono anche che il morbo di Parkinson, se le persone vivessero abbastanza a lungo, la svilupperebbero tutti.
Nei soggetti che soffrono di questa malattia è davvero molto importante seguire scrupolosamente una certa dieta. Sono numerosi gli studi scientifici, infatti, che hanno evidenziato come un’alimentazione iperproteica sia fondamentale a pranzo.
L’effetto positivo è quello di migliorare l’efficacia del trattamento a base di farmaci e il benessere complessivo del paziente.
Una dieta corretta ed equilibrata, tra l’altro, riduce notevolmente anche il pericolo di patologie metaboliche o cardiovascolari.
I soggetti che soffrono di questa patologia spesso e volentieri presentano delle importanti difficoltà nell’ingestione degli alimenti. Così come hanno problemi a deglutire la saliva.
Il motivo è legato ad un errato funzionamento e una mancanza di coordinazione tra i muscoli che si occupano di supportare tali funzionalità. Il cibo viene ingerito con difficoltà perché non si riesce più a deglutire con una certa rapidità.
Ecco spiegato il motivo per cui il cibo rimane più al ungo in bocca e in gola. E, di conseguenza, diventa semplice che si verifichino episodi di tosse e soffocamento. Ci sono comunque alcuni suggerimenti che possono tornare utili per contrastare queste difficoltà.
Quando si mangia e si beve, il paziente deve rimanere sempre seduto ben diritto. Si possono fare dei semplici, ma importanti esercizi prima di iniziare a mangiare, cercando di replicare le varie fasi della deglutizione. Spesso può capitare che mangiare cominci a diventare un’attività particolarmente faticosa.
Ecco che i tre pasti principali si possono spezzettare in più spuntini. Inoltre, è fondamentale evitare le abbuffate, ma cercare di mangiare sempre piccole porzioni e lentamente. Nei pazienti, inoltre, c’è la tendenza della saliva a rimanere in bocca.
Il morbo di Parkinson spesso viene definita come una patologia in cui la peculiarità è la sregolazione del movimento. Di conseguenza, la riabilitazione assume un ruolo davvero molto importante. La rigidità e i movimenti più rallentati portano a dei cambiamenti nella postura del soggetto, sia quando è seduto che quando cammina.
L’esercizio fisico ha come obiettivo proprio la correzione di tutti questi comportamenti errati. Al tempo stesso, svolge un’azione di prevenzione rispetto allo sviluppo di malattie dolorose alle ossa.
Per quanto riguarda il tipico tremore, invece, si può fare ben poco. Qualche beneficio dall’allenamento si può comunque ottenere. I pazienti che hanno seguito dei programmi ben definiti di fisiochinesiterapia hanno ottenuto risultati migliori. Infatti sono riusciti a recuperare un buon livello di sicurezza nei movimenti.
All’interno dei vari programmi di fisiochinesiterapia ci sono dei movimenti di base. Ad esempio, si tratta degli esercizi di allungamento e di mobilizzazione.
Lo scopo è quello di prevenire tutti quei disturbi che possono andare a danneggiare le varie articolazioni. Inoltre, si possono correggere anche tutti quei comportamenti che portano a mantenere una postura errata. Ci sono anche numerosi esercizi funzionali.
L’obiettivo è quello di migliorare a cambiare posizione e nell’affrontare situazioni normali. Come ad esempio girarsi nel letto. Gli esercizi di equilibrio e quelli di coordinazione sono altrettanto importanti. Infatti mirano ad ottenere miglioramenti nella fluidità e precisione dei movimenti.
La produzione di proteine nelle cellule è complessa e coinvolge molti componenti. Si tratta infatti di un processo che produce una lunga catena di aminoacidi poi “ripiegata” in una forma tridimensionale.
Tuttavia, quando le proteine non si “ripiegano” correttamente, possono accumularsi in gruppi potenzialmente tossici. Tale accumulo è un innesco per l’autofagia, una funzione cellulare che rimuove le proteine difettose, le scompone e ricicla i componenti.
Ebbene, se le ipotesi dovessero prendere adeguatamente piede, significa che gli scienziati sono finalmente in grado di progettare una proteina in grado di bloccare il beta-amiloide nelle cellule cerebrali prima che si formino i nuclei tossici tipici dell’Alzheimer.
Gli studi hanno anche dimostrato che inducendo l’autofagia chimicamente o geneticamente nei topi, si può eliminare queste proteine tossiche e ridurre i danni che causano. Tuttavia, ancora non ci sono trattamenti per le malattie neurodegenerative che utilizzano “induttori autofagia”. Un modo per sviluppare trattamenti sarebbe iniziare da zero con nuovi farmaci sperimentali.
Un altro modo sarebbe quello di cercare potenziali candidati tra i farmaci che i regolatori hanno già approvato per altre condizioni umane e testarli per la nuova condizione. Una tale via può ridurre i tempi e i costi di sviluppo di un nuovo trattamento.
Rammentiamo che gli scienziati hanno usato topi geneticamente modificati per il loro studio. I topi avevano alterazioni genetiche che li hanno indotti a sviluppare la malattia di Huntington o un tipo di malattia di Parkinson: su di essi è stato dunque condotto il trattamento con felodipina, che ha ridotto l’accumulo di proteine tossiche, non correttamente piegate e segni di malattia nei modelli della malattia di Huntington e del morbo di Parkinson.
Gli scienziati segnalano altresì che nell’analisi degli effetti dei farmaci nei topi, in genere sono stati usati livelli più elevati rispetto alle dosi ritenute sicure negli esseri umani. In questo studio, tuttavia, il team ha dimostrato che i livelli ematici di felodipina necessari per innescare l’autofagia erano simili a quelli dell’uomo.
“Questi risultati sono solo l’inizio”, dice il Prof. Rubinsztein. “Dobbiamo essere cauti“, aggiunge, “ma vorrei dire che possiamo essere cautamente ottimisti”.
Bibliografia
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