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Tra le complicanze più temute vi sono: l’ingrossamento o/e la rottura della milza, (che si verifica in meno dello 0,5% dei casi), anemia emolitica, meningite ed encefalite che si risolvono, tuttavia, senza sequele.
I sintomi acuti (faringite, febbre etc.), in genere, si risolvono in media nel giro di 2 settimane ma quelli specifici (stanchezza, senso di malessere generale, dolori diffusi etc) possono protrarsi per diversi mesi.
Di norma il contagio avviene tra soggetti che hanno tra i 15 e i 25 anni e può avvenire attraverso la saliva, tramite un rapporto sessuale oppure con le trasfusioni di sangue; in pratica tramite il contatto intimo con le secrezioni della persona infetta.
Si tratta di una malattia che è presente un po’ in tutto il mondo. Come detto, si manifesta in modo particolare nei soggetti adolescenti. Si stima che insorga entro tale fase nella metà delle persone che abitano nei Paesi industrializzati.
Nei Paesi che sono in via di sviluppo, al contrario, si manifesta molto prima. Visto che si tratta di una patologia molto contagiosa, ecco che la mononucleosi può provocare delle ridotte epidemie.
Solamente, però, in condizioni del tutto specifiche. Ovvero quando i soggetti vivono insieme e sono a stretto contatto. Oppure nel caso in cui le condizioni igieniche siano insufficienti. O, ancora, quando si passano diverse ore in un luogo sovraffollato. In base a delle statistiche recenti, circa il 90% della popolazione adulta si scontra con il virus di Epstein-Barr.
In seguito al contagio, la mononucleosi insorge nel giro di tre-sei settimane. Dopo tale periodo gran parte delle persone colpite sono in grado di riprendere la vita di tutti i giorni.
Una stanchezza generalizzata può rimanere per alcune settimane. In alcuni casi, può persistere anche per vari mesi.
Una volta guarito, il paziente può conservare l’infezione in uno stato di latenza e si stima che più del 90% dei soggetti asintomatici sieropositivi per EBV espellano il virus con le secrezioni orofaringee.
Nella maggior parte dei casi la mononucleosi infettiva è autolimitante. Di solito, un quinto dei pazienti può fare ritorno a scuola o al lavoro nel giro di una settimana.
L’astenia può perdurare per svariate settimane. Solamente nell’1-2% dei pazienti permane per numerosi mesi. Il decesso, invece, colpisce meno dell’1% dei pazienti. Si tratta, però, di casi in cui non è la patologia in sé a portare alla morte, quanto piuttosto le complicanze. Ad esempio, nel caso in cui si rompa la milza, si ostruiscano le vie aeree o in caso di complicanze neurologiche.
A livello del sangue, possono insorgere anemia emolitica e piastrinopenia. Per quanto riguarda il sistema nervoso, invece, possono svilupparsi alterazioni del comportamenti e convulsioni. Non solo, ma anche meningiti ed encefaliti.
Il medico potrebbe essere in grado di diagnosticarla puntualmente e con precisione attraverso l’esame clinico dei suoi sintomi tipici come la febbre, l’ingrossamento dei linfonodi e il mal di gola.
Solamente attraverso gli esami del sangue, però, si potrà ottenere una diagnosi di certezza. Vanno ricercati i seguenti dati:
Il trattamento è sintomatico con riposo a letto, analgesici, antinfiammatori ed idratazione. Gli antibiotici vanno utilizzati solo in caso di sovra infezione batterica.
Contrariamente a quanto suggeriscono alcuni, non è affatto detto che i soggetti che contraggono la mononucleosi debbano necessariamente convivere con il virus per parecchi mesi.
Un accorgimento è evitare sport e sforzi estremi nel primo mese dopo la guarigione per evitare di sollecitare la milza. Pena la rottura della stessa.
Il virus, anche dopo la guarigione, tende a riattivarsi attraverso la c.d. “sindrome da fatica cronica”.
Pertanto, è consigliabile mantenere l’efficienza del sistema immunitario con uno stile di vita particolarmente attivo, che sia lontano da eccessivi stress e che possa essere basato su un’alimentazione sana ed equilibrata.
È bene evidenziare come l’infezione EBV insorga davvero molto di frequente. Il virus, tra l’altro, resta come ospite all’interno del corpo del paziente per tutta la vita. La sua eliminazione avviene in modo saltuario e senza segnali particolari dall’orofaringe.
Solamente il 5% dei soggetti sono contagiati da persone con un’infezione acuta. I sintomi tipici includono l’affaticamento, che in alcuni casi può durare anche svariati mesi. Molto più di rado insorgono faringite, febbre e splenomegalia.
Si consiglia sempre l’esecuzione del test degli Ac eterofili. In pochi casi, invece, viene suggerita l’esecuzione del dosaggio degli Ac specifici del virus della mononucleosi.
Particolare apprensione nasce tra i genitori. Quando il medico da una diagnosi di mononucleosi molte mamme e papà si fanno assalire da timori e dubbi. Ed è proprio qui che il pediatra può offrire ottimi consigli.
Il primo consiglio è quello di far riposare il bambino, senza stressarlo. In qualità di genitori occorre far attenzione alle classiche misure di igiene. Il bambino deve usare stoviglie personali, asciugamani e bottigliette propri. Non occorre in realtà sterilizzare queste cose ma semplicemente lavarle con cura.
Il bambino potrebbe mostrare una certa stanchezza, la cosa importante è non farlo affaticare troppo e soprattutto, far si che mangi in modo corretto. L’inappetenza è destinata a sparire nel giro di poco. Chiaramente se proprio il bambino si rifiuta di mangiare, il pediatra può offrire consigli utili.
Per quanto riguarda il ritorno a scuola, di solito i pediatri consigliano di far tornare il bambino in classe dopo due o tre giorni da quando la febbre è scomparsa. Quando invece è stato particolarmente debilitato e i sintomi si sono manifestati in modo piuttosto forte, può essere un bene riguardarlo qualche giorno in più visto la sua vulnerabilità alle infezioni batteriche.
L’attività sportiva può essere ripresa dopo che la febbre è scomparsa da almeno una settimana. Visto però che la mononucleosi può portare all’ingrossamento o alla rottura della milza, se così è stato, è bene non sottoporlo a sforzi. Parlarne prima con il medico, il quale suggerisce constatando lo stato di salute del piccolo paziente, qual è il tempo di attesa più idoneo.
Infine quando c’è un bambino malato in casa, c’è sempre la paura che possa contagiare gli altri. Se è vero che la maggior parte degli adulti l’ha già avuta e quindi ne è immune, ci sono situazioni particolari in cui scatta nella mente dei genitori un campanello d’allarme.
I neonati hanno comunque una sorta di immunità in moltissimi casi perché se la mamma ha già avuto prima della gravidanza la mononucleosi, ha passato un po’ di anticorpi al neonato quando era in pancia.
Infine, c’è la paura da parte delle donne di prendere la mononucleosi in gravidanza. C’è infatti il timore che possa in qualche modo compromettere la salute del nascituro. Ecco allora che, se il figlio grande in casa è malato, cerca di non stargli a stretto contatto.
Chiaramente utilizzare tutte le normali precauzioni è un bene, tuttavia non è una malattia che aumenta il rischio di complicanze e tanto meno porta a malformazioni fetali. Riduce un po’ le difese immunitarie e questo espone la donna a potenziali infezioni.
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