Dal punto di vista genetico, questa patologia comporta l’alterazione del gene ATP7B. Il gene che presenta quel difetto si trova lungo il cromosoma 13 e comporta la codifica di una particolare proteina che va a legarsi con il rame durante il suo trasporto. Tale alterazione non favorisce, ma limita alquanto la produzione di tale proteina, fondamentale per l’escrezione a livello biliare del quantitativo eccessivo di rame assunto mediante gli alimenti.
Morbo di Wilson e il legame con la cupremia
Quando si parla di cupremia si fa riferimento alla concentrazione di rame libero che si trova nel sangue di una persona. Il rame si caratterizza per essere quasi del tutto (per il 90%) legato alla ceruplasmina e solamente per il 5% correlato con l’albumina. Il restante 5% si caratterizza per essere proprio il quantitativo libero che circola nel sangue. Questo valore, per poter rientrare nella normalità, deve essere compreso tra 70 e 150 microgrammi per decilitro. Sono diverse le possibili cause che possono provocare una vera e propria alterazione di tali valori.
Tra gli altri motivi che comportano un aumento di tale quantitativo, troviamo la cirrosi biliare, l’emocromatosi, le infezioni acute e croniche, diversi processi di natura infiammatoria, il linfoma di Hodgkin, la gravidanza, ma anche la terapia con dei contraccettivi orali. Per quanto riguarda, invece, le cause che possono contribuire ad una riduzione di tale valore, troviamo sicuramente la malattia di Wilson, la sindrome di Menkes, la sindrome nefrosica (che comporta un incremento di rame all’interno delle urine), ma anche la sindrome da malassorbimento (che provoca una riduzione della quantità di rame che si trova nelle urine, con dei valori normali che di solito sono compresi tra 3 e 35 microgrammi).
La dieta suggerita Morbo di wilson dieta
L’elevata di concentrazione di rame all’interno dell’organismo del paziente comporta, oltre a seguire una ben precisa terapia farmacologica, comporta anche una dieta del tutto particolare. Infatti, il paziente dovrebbe seguire una dieta con una bassa concentrazione di rame. Quindi, tutti gli alimenti che hanno una buona percentuale di rame al loro interno dovrebbero essere evitati, per lo meno nel corso del primo anno di terapia del paziente. Tali alimenti con un’alta concentrazione di rame, quindi, dovrebbero evitati: si tratta, ad esempio, di funghi, noci, cioccolato, frutti di mare, legumi, fegato di animali ed aragoste. Si consiglia anche, come buona regola, di cercare di valutare, nei limiti delle proprie possibilità ovviamente, la concentrazione di rame che si trova nell’acqua che si beve di solito. Infatti, alcune tipologie di acqua minerale o di acqua della rete idrica del luogo in cui si abita, potrebbero denotare dei valori di rame anche uguali a 1 mg/L.
Le terapie consigliate per chi soffre del morbo di Wilson
Attualmente ci sono diversi trattamenti farmacologici che mirano ad abbassare la concentrazione di rame che circola nel sangue, così come a ridurne l’accumulo all’interno dei tessuti. Queste terapie prevedono l’impiego di vari chelanti, che vanno a svolgere la loro azione benefica garantendo una migliore e più rapida espulsione dal fegato e dai vari tessuti mediante le urine. I chelanti, come ad esempio la penicellamina oppure la trientine, vengono usati, nella maggior parte dei casi, per curare i pazienti che soffrono già da diverso tempo di questo disturbo. Nei soggetti che, invece, non presentano particolari sintomi o che stanno seguendo una cura di mantenimento, si può impiegare lo zinco, che svolge un’azione sull’intestino, andando a stimolare la produzione di metallotioneina, che va a legare il rame e garantisce una migliore espulsione dello stesso mediante le feci. Per questo motivo è davvero molto importante riuscire a diagnosticare questa malattia (e cominciare a seguire una terapia) già nel corso dell’età pediatrica, nel momento in cui la sintomatologia non c’è del tutto oppure è presente in modo decisamente lieve.
La prognosi e l’aspettativa di vita con la malattia di Wilson
È davvero importante sottolineare come la terapia di questa patologia debba essere cominciata già nel momento in cui il paziente inizia a riscontrare i primi segni neurologici. Tale terapia prevede di abbassare notevolmente il consumo di alimenti che contengono il rame e puntando sulla somministrazione del medicinale chelante D-penicillamina tramite via orale, in diversi dosaggi. Tutti quei pazienti che soffrono di tale patologia e non vengono curati in tempistiche immediate o comunque non vengono trattati del tutto possono morire per via delle conseguenze di tale malattia sulla funzionalità epatica e su quelle neurologiche. È molto più difficile morire, invece, per colpa di conseguenze sulla funzionalità renale e quella ematologica. La prognosi dei pazienti che cominciano in modo immediato la terapia e la seguono per diverso tempo assumendo la D-penicillamina porta piuttosto di frequente a ottimi risultati, ma tutto dipende da quando è stata iniziata, dalla frequenza con cui viene assunta e da come risponde chiaramente il corpo del paziente a tale trattamento.
Anello di Kayser Fleischer e il legame con la malattia di Wilson
Gli anelli di kayser fleischer si caratterizzano per essere un sintomo oculare che si forma in seguito all’accumulo di rame all’interno del tessuto della cornea. Per questo motivo, si tratta di sintomi correlati chiaramente alla malattia di Wilson e al livello di avanzamento di quest’ultima. Queste formazioni appaiono con una forma circolare oppure di semiluna, con una colorazione tipicamente dorata oppure bruna che tende al verdastro. Il punto esatto in cui cominciano ad apparire è quello in cui si trova la membrana di Descemet, ovvero sul confine tra la sclera e la cornea. In alcuni casi tali anelli si possono notare anche ad occhio nudo, anche se più facilmente si possono vedere tramite un esame con la lampada a fessura. Ad ogni modo, questi sintomi possono insorgere, molto più raramente, in altre problematiche del fegato, così come durante l’evoluzione di patologie che sfociano in colestasi.