Chirurgia

Lobotomia, un intervento chirurgico del passato per le malattie mentali

Dalle fonti storiche, sembra che il primo ad aver praticato la lobotomia sia stato il medico svizzero Gottlieb Burkhardt, nel 1880. Era il primo intervento chirurgico sul cervello, usato per calmare alcuni malati mentali. Il medico svizzero intervenne su sei pazienti malati di schizofrenia e allucinazioni acustiche, con due casi di morte.

I sopravvissuti invece si mostrarono calmi, apatici e insensibili alle sollecitazioni esterne. Da un punto di vista scientifico, i lavori di Burkhardt non riscossero alcun successo.

Altre fonti riferiscono che dieci anni più, il dottor Sarles fece delle lobotomie parziali. Le fonti sembrano un po’ confuse visto che anche per questo medico si parla di sei pazienti operati in Svizzera.

Le fonti riferiscono che il dottore praticò dei fori nella scatola cranica per asportare delle porzioni dei lobi frontali. Utilizzando un trapano, fece le prime lobotomie. Anche in questo caso si parla di due decessi con le stesse modalità. Un paziente morì durante l’intervento, mentre un altro si suicidò a pochi giorni dall’operazione.

La prima lobotomia

Più precise sono le fonti storiche sulla prima lobotomia controllata. Si tratta di un intervento eseguito dal neurologo portoghese Antonio Egas Moniz. Gli archivi riferiscono che nel 1936 egli, sempre tramite un trapano per perforare la scatola cranica, raggiungeva i lobi frontali. Qui, con delle iniezioni di alcol, eliminava parte della sostanza bianca.

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Il primo intervento fu eseguito nell’ospedale di Lisbona, dove avvennero anche quelli successivi. Il neurochirurgo sembra però che fosse solo l’ideatore della tecnica operatoria. Moniz non poteva operare perché affetto da gotta e tremore alle mani.

Ad operare era invece il dottor Pedro Almeida. Con l’alcol etilico puro si distruggevano le connessioni nervose, provocando grande clamore nell’opinione pubblica. Visti i primi successi mediatici, i due misero a punto il leucotomio, uno dispositivo medico realizzato proprio per questa tecnica operatoria. Al discusso neurologo portoghese venne attribuito il Nobel, 13 anni dopo. Nel 1937 Moniz e il suo staff operarono anche nel Nord Italia.

Gli altri medici

Anche l’italiano Amarro Fiamberti si cimentò nella pratica utilizzando nuovi sistemi, in seguito ripresi da Eric Cunningham Dax, che ne migliorò alcuni aspetti. La tecnica venne così ribattezzata lobotomia da da Walter Freeman e James W. Watts quando venne introdotta negli Usa. I due perfezionarono l’intervento chirurgico cambiando la via d’accesso ai lobi frontali. La tecnica venne chiamata lobotomia transorbitale perché utilizzava i dotti lacrimali come via d’accesso. Invece del trapano, utilizzavano una sorta di punteruolo di 5 millimetri di diametro, l’orbitoclasto.

Con questo strumento si perforava l’osso sopra la palpebra, raggiungendo il lobo. Anche in questo caso, lo scopo era la distruzione delle connessioni nervose.

A differenza delle precedenti tecniche, che erano dei veri e propri interventi chirurgici, la lobotomia transorbitale si faceva in ambulatorio, in pochissimo tempo. Questo aumentò notevolmente il numero di pazienti operabili, anche perché Freeman lo eseguiva anche per casi lievi di malattia mentale. Gli storici attribuiscono allo stesso Freeman qualche migliaio di operazioni in tutti gli Stati Uniti.

La tecnica dell’ablazione

Mentre Freeman e altri mettevano a punto le loro tecniche, anche Carlyle F. Jacobsen e John Fulton iniziarono degli esperimenti sugli animali. I due neuroscienziati statunitensi rimuovevano i lobi prefrontali sugli scimpanzé, ottenendo gli stessi risultati. Era il 1935, appena un anno prima degli interventi di Freeman.

La lobotomia divenne molto comune tra gli anni ’40 e ’50 del Novecento, tanto che negli Usa, si contano circa 20mila pazienti lobotomizzati. Poi iniziarono le critiche verso la tecnica. L’opinione degli scienziati iniziò a cambiare, soprattutto sul giudizio riguardante i risultati. L’accusa inoltre, era di barbarie, nei confronti dei pazienti.

Inoltre si iniziarono a sperimentare i primi medicinali antipsicotici e contro la depressione, che vennero preferiti alla lobotomia, tanto che la tecnica era in disuso già negli anni ’70.

La clorpromazina iniziò ad essere ampiamente utilizzata nelle malattie mentali. Nel 1977 anche il mondo politico iniziò a studiare la validità della lobotomia con un comitato scientifico nominato dal Congresso degli Stati Uniti. La Commissione Nazionale per la Protezione dei Soggetti Umani della Ricerca Biomedica e Comportamentale doveva studiare non solo gli effetti e i risultati della lobotomia, ma anche l’eticità e e possibilità di utilizzo nel controllo delle minoranze.
Ma nel frattempo, sia alcuni Stati degli Usa, che altri importanti paesi come Germania e Giappone vietarono la tecnica. Ma alcuni paesi continuarono ad usarla anche durante gli anni ’80, come in Francia, dove vennero praticati 32 interventi fino al 1986. In Gran Bretagna invece, vennero eseguite 15 lobotomie l’anno, in Belgio si arrivò addirittura a 70.

Ai giorni nostri la tecnica viene usato solo là dove i farmaci non hanno funzionato per l’epilessia. Si tratta di una tecnica perfezionata e selettiva, chiamata leucotomia temporale anteriore.

L’operazione chirurgica

Come descritto brevemente nella ricostruzione storica, la lobotomia mirava a recidere delle connessioni nervose. L’area di intervento era la corteccia prefrontale del cervello. Le due tecniche, asportazione o distruzione, ottenevano il medesimo esito: una trasformazione sostanziale degli individui.

La tecnica era utilizzata per “curare” i disturbi ansiotici, la depressione, le psicosi maniacali e la schizofrenia.

Venivano interrotte le connessioni nervose della corteccia cerebrale, sia in entrata che in uscita. Il risultato era una riduzione sostanziale dell’intelletto, dell’autocontrollo e della consapevolezza. Venivano ridotte anche le emotività e le reazioni, creando in pratica una sorta di zombie.

L’intervento era diretto al lobo frontale, parte dei due emisferi che compongono il cervello. I lobi del cervello sono quattro. Il frontale, il temporale, il parietale e l’occipitale.

La corteccia esterna riguarda la parte esterna del cervello. La sostanza bianca si trova invece all’interno, appena sotto la corteccia. La corteccia dei lobi frontali era la parte che veniva danneggiata durante la lobotomia. La tecnica aveva numerose controindicazioni, e pochissimi benefici riscontrati.

Le parole lobotomia e leucotomia derivano, come spesso succede, dal greco. Lobotomia significa taglio dei lobi, leucotomia taglio delle fibre bianche.

Cosa veniva curato con la lobotomia

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Le malattie curate con la lobotomia erano essenzialmente la depressione, la schizofrenia e il disturbo bipolare. La depressione, quando è cronica, porta ad un cambiamento, in negativo, dell’umore. Questa situazione si accompagna ad una riduzione delle attività fisiche e sociali. Fisicamente si riscontrano inappetenza e disturbi del sonno. Poi vi sono gli aspetti psicologici, con perdita di interesse e abbassamento dell’autostima.

Anche il disturbo bipolare colpisce l’umore, ma in modo alternato. In questo disturbo infatti si alternano momenti di eccitazione a periodi di depressione, che incidono fortemente sulla vita sociale.

La schizofrenia è un disturbo ancor più grave, che oltre ad avere i sintomi prima descritti, sfocia nelle allluncinazioni, nella dissociazione dalla realtà, problemi del linguaggio e del pensiero.

Le conclusioni di decenni di analisi

Sono molte le analisi e le ricerche portate avanti sugli effetti della lobotomia. Per Maurice Partridge, dopo un’indagine su 300 lobotomizzati, la tecnica aveva l’effetto di semplificare la vita psichica dei pazienti. Non a caso, lo stesso Freeman descrisse la tecnica come capace di produrre un’infanzia indotta con la chirurgia. Egli stesso parlava di personalità infantile una volta che i pazienti erano stati operati.

Ma per Freeman questo non rappresentava un problema perché la lobotomia mirava a far regredire il paziente allo stato infantile, per poi rieducarlo più facilmente.

Purtroppo, molti pazienti furono uccisi dalla stessa operazione (circa il 5%) o dalle complicazioni psicologiche post-operatorie. Molti furono infatti i suicidi. Spesso la tecnica provocava invalidità permanenti, con pazienti cerebrolesi che restavano nelle strutture ospedaliere, perché non autosufficienti.

Solo pochissimi individui furono in realtà in grado di intraprendere una vita normale. La maggior parte aveva invece comportamenti confusi. Da un punto di vista fisico, molti pazienti non riuscivano a controllare l’appetito, mentre alcuni iniziavano a soffrire di epilessia.

Persone famose lobotomizzate

Tra i tanti pazienti a subire la lobotomia, vi furono anche personaggi famosi e in vista. Ma anche alcuni a cui fu praticata la tecnica senza nessuna vera esigenza.

La sorella del presidente Kennedy, Rosemary, fu forse il volto più conosciuto a subire la lobotomia. La tecnica fu eseguita quando, a 23 anni, la ragazza mostrò un umore alterato e un’attrazione eccessiva verso l’altro sesso. La famiglia venne tenuta all’oscura dell’intervento dal padre dei Kennedy e la ragazza si ridusse ad uno stato infantile.

Altro caso famoso è quello di Evita Peron, amata first lady argentina. Per la donna, la lobotomia fu praticata come antidolorifico prima della morte, avvenuta per cancro.

L’attrice Frances Farmer sembra sia stata lobotomizzata, ma non vi sonno certezze, mentre il violinista Josef Hassid fu lobotomizzato per curare la schizofrenia.

In un caso la lobotomia venne utilizzata per curare il mal di testa, sulla paziente Anna Channels.

La lobotomia è una tecnica divenuta celebre per l’influenza culturale che ha avuto attraverso film, libri e fumetti. Molti furono gli autori e registi che utilizzarono la tecnica per i personaggi delle loro opere. Tra i tanti ricordiamo il film The Ward, Qualcuno volò sul nido del cuculo e il film Frances, dedicato proprio all’attrice Frances Farmer.

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