L’ipertensione arteriosa, quando si manifesta, purtroppo lo fa silenziosamente, perché la maggior parte delle persone che ne soffrono, non mostrano una sintomatologia riconducibile a questa condizione clinica, anche quando a seguito della misurazione, questa si mostra elevata.
In alcuni casi, si possono manifestare dei sintomi come il mal di testa persistente, che si può confondere con la stanchezza, vertigini, vomito, nausea e visione alterata che comporta anche il restringimento del campo visivo, oltre alla visione di lucine scintillanti.
Anche la difficoltà di concentrazione, così come le palpazioni, l’arrossamento del viso ed il ronzio nelle orecchie, possono essere fattori causati dalla pressione arteriosa troppo elevata. Se compaiono uno o più di questi sintomi, la persona deve rivolgersi tempestivamente dal proprio medico.
Esempio di dieta in presenza di ipertensione arteriosa
Il corretto regime alimentare in presenza di ipertensione arteriosa, prevede la scelta di alcuni cibi, ed il divieto di consumo di altri, e si basa sulla prevenzione di tale disturbo, attraverso l’abolizione di sale aggiunto ai cibi in tavola, l’abolizione di insaccati e carne salata e stagionata, l’utilizzo di sale integrale, l’abolizione di formaggio stagionato, il consumo di parmigiano reggiano e di acqua naturale povera di sodio almeno un litro e mezzo al giorno.
È molto importante che il quantitativo di sodio alimentare non superi il limite superiore stabilito dalla Commission of the European Communites, ovvero al di sotto dei 3,5 grammi al giorno.
Dieta per l’ipertensione arteriosa
La dieta del soggetto affetto da ipertensione arteriosa, causata da uno stile di vita scorretto, si basa sulla scelta di alcuni alimenti e sul rispetto di regolare basilari nutrizionali ed eventualmente la somministrazione di integratori alimentari.
Come prima cosa, il soggetto deve ridurre il quantitativo di sale, evitando di aggiungerlo ai pasti già pronti in tavola, ed incrementare gli alimenti freschi, come frutta, verdura ed ortaggi e se possibile consumare anche creali integrare e legumi.
Per evitare la possibile comparsa di complicanze, il soggetto deve evitare i grassi idrogenati, del colesterolo alimentare presente in molti cibi ed aumentare le fibre se ne è carente.
Cos’è l’ipertensione arteriosa diastolica
L’ipertensione arteriosa diastolica è quella che si crea tramite le contrazioni muscolari del sangue. Tale valore deve essere preso seriamente in considerazione, perché provoca maggiori danni della pressione arteriosa sistolica elevata.
Quando l’ipertensione arteriosa interessa le diastoli, si possono verificare effetti negativi importanti sul corretto funzionamento del cuore, dei reni e del cervello.
Una pressione arteriosa diastolica corretta non deve superare gli 80 mmHg, e tale valore non deve essere trascurato. Le principali cause di tale disturbo sono: l’invecchiamento del cuore e tutti i suoi effetti naturali.
Quando una persona invecchia, anche i muscoli subiscono lo stesso processo e di conseguenza quelli che formano il cuore si stancano e si irrigidiscono, rendendo in maniera tale molto difficile la trasmissione del sangue.
L’ipertensione arteriosa può essere secondaria e sistolica isolata
Per ipertensione arteriosa secondaria, si intende l’ipertensione causata da patologie renali o endocrinologiche.
Tra le cause endocrinologiche più frequenti abbiamo il feocromocitoma, l’iperaldosteronismo primario, la sindrome di Cushing e le sindromi adrenogenitali.
Quando l’ipertensione è di origine renale, l’arteria dell’organo o dei suoi rami è stenotica, oppure provocata da alterazioni parenchimatose come la glomerulonefrite cronica, e la glomurulonefrite acuta. Come sappiamo l’ipertensione arteriosa, indipendentemente dal fattore scatenante, può provocare una serie di patologie gravi. Storicamente la pressione con più potenzialità di rischio tra la popolazione generale e quella anziana era la pressione diastolica, infatti tutti gli studi effettuati si sono basati fino agli anni 90 sulla stima della riduzione di essa.
La pressione sistolica isolata è stata considerata da sempre meno rilevante per quanto riguarda i rischi. Nei soggetti anziani ad esempio, l’aumento della PAS che tende a manifestarsi con l’aumentare dell’età, era considerata un processo fisiologico legato esclusivamente all’invecchiamento dell’apparato vascolare.
Con il passare del tempo è stato possibile dimostrare, come l’ipertensione sistolica isolata, sia in realtà un fattore a rischio cardiovascolare, e come a seguito del suo trattamento, è possibile ridurre problemi cardiovascolari e cerebrovascolari ad essa connessi. I risultati sono stati confermati da dati recenti dallo studio di Framimgham.
Valori dell’ipertensione arteriosa
La pressione arteriosa come abbiamo visto, si può alterare a causa di diversi fattori ed inoltre può variare in base al sesso, all’età, alla razza, al peso corporeo, all’apparecchio che viene utilizzato per la misurazione, all’ora del giorno ed infine anche allo stato psicofisico e della salute in generale di ogni singolo soggetto.
In età adulta, la pressione arteriosa ideale non deve superare i 115-120 mmHg per quanto riguarda la sistolica, mentre per la pressione minima ovvero la diastolica, questa si deve aggirare tra i 78 e gli 80 mmHg.
Quando tali valori sono alterati, il soggetto è affetto da ipertensione arteriosa e le cause scatenanti vanno ricercate in maniera tempestiva.
Le linee guida per l’ipertensione arteriosa
Le linee guida per l’ipertensione arteriosa si basano sulla valutazione del rischio cardiovascolare globale in ogni singolo paziente, al fine di decidere i trattamenti adeguati.
Oltre a questo troviamo anche la descrizione della soglia della pressione arteriosa che serve a stabilire se incominciare la somministrazione dei farmaci, il target di PA da raggiungere mediante la terapia, l’impiego in concomitanza di ulteriori medicinali e la possibile aggiunta al trattamento di agenti ipolipemizzanti e di antiaggreganti.
Tra i vari criteri che stabiliscono il rischio cardiovascolare, le linee guida considerano molto importante la valutazione del danno d’organo subclinico, perché le alterazioni che non mostrano alcun sintomo a carico del sistema cardiovascolare e dei reni sono importanti fattori che collegano eventuali complicanze, come l’ipertensione con gli eventi fatali e non cardiovascolari.
Bibliografia
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Voci correlate