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Fibrosi cistica, sintomi, cause e cure

La fibrosi cistica è una malattia genetica autosomica recessiva causata da un’alterazione del gene CFTCR (CysticFibrosis Transmembrane Conductance Regulator) che codifica per una proteina transmembrana di 1480 aminoacidi la cui funzione è quella di trasportare il cloro  nelle cellule epiteliali, nelle vie aeree, nel pancreas, nell’intestino, nelle ghiandole salivari e sudoripare e nei vasi deferenti. Essendo una malattia autosomica recessiva si manifesta solo negli individui omozigoti per il gene che codifica per la malattia e con nessuna sintomatologia negli individui eterozigoti.

La patologia della fibrosi cistica si caratterizza per un’anomalia nel trasporto di questo ione a causa della quale le secrezioni delle ghiandole esocrine, cioè i liquidi biologici come il muco, il sudore, la saliva, lo sperma e i succhi gastrici, sono molto più dense e viscose del normale. Negli organi interessati tali secrezioni, presentando insolite caratteristiche, determinano un’ostruzione dei dotti principali, provocando l’insorgenza di molti disturbi e sintomi caratteristici (linkare l’articolo “Fibrosi cistica:sintomi”), come la comparsa di infezioni polmonari ricorrenti e difficoltà respiratorie causate proprio dal muco estremamente denso, insufficienza pancreatica, steatorrea, stati di malnutrizione, cirrosi epatica, ostruzione intestinale e infertilità.

L’infertilità si verifica nel 98% dei soggetti adulti di sesso maschile che presenta la malattia a causa di un alterato sviluppo dei dotti deferenti e dell’estrema densità del loro liquido spermatico; inoltre il problema dell’infertilità potrebbe insorgere anche in coloro che non presentano la malattia ma ne sono portatori sani.

Si dice che un individuo è portatore sano della malattia quando possiede una sola copia del gene alterata (e quindi non funzionante) mentre l’altra è normale e la sua funzione è sufficiente a compensare la mancante. Secondo uno studio condotto da un equipe cinese e pubblicato sulla rivista Human Reproduction, infatti, l’alterazione di anche uno solo dei geni coinvolti nello sviluppo della fibrosi cistica provocherebbe un peggioramento nella qualità degli spermatozoi, che l’espressione della proteina codificata dal gene CFTCR appunto controllerebbe; ipotesi confermata dall’aver preso visione che, nei soggetti fertili c’è un’elevata percentuale di spermatozoi che esprimono la proteina (87,9%), a differenza dei soggetti ipofertili per alterazioni degli spermatozoi nella forma, nella motilità e nel numero che talvolta non la esprimono o la presentano in una forma alterata.

Allo stesso modo, molte donne affette da fibrosi cistica non sono in grado di concepire o di portare avanti una gravidanza a causa della viscosità delle secrezioni cervicali anche se la percentuale di infertilità nelle donne non è alta come negli uomini.

Diagnosi prenatale e neonatale della fibrosi cistica

Sebbene non si possa predire quando la malattia possa apparire, ricerche ed esperienza dimostrano che la malattia può manifestarsi precocemente in età neonatale o nei primi mesi di vita, con gravità e sintomi diversi. Più raramente invece può manifestarsi nell’età adolescenziale o nell’adulto. Dati relativi al Registro Italiano per la Fibrosi Cistica evidenziano che nel 23,6% dei pazienti italiani affetti dalla fibrosi cistica, la malattia è stata diagnosticata nel primo anno di vita mentre nel 16,7% dei casi è stata diagnosticata oltre i 16 anni d’età, con qualche raro caso di diagnosi tardiva in età superiore ai 55 anni d’età.

Per ostacolare il progresso della malattia, durante o subito dopo la gravidanza, specialmente se ci sono parenti del bambino affetti da fibrosi cistica o se è già stato accertato che entrambi i genitori sono portatori della mutazione del gene CFTCR, è consigliabile sottoporsi ad una diagnosi prenatale (durante la gravidanza) o neonatale (subito dopo la gravidanza):

  • la diagnosi prenatale è basata sull’analisi dei villi coriali prelevati attraverso villocentesi tra la decima e la dodicesima settimana di gravidanza. Più raramente, la diagnosi prenatale viene effettuata tramite l’analisi del DNA estratto da cellule contenute nel liquido amniotico, ottenute tramite amniocentesi con un prelievo che viene di solito eseguita tra la sedicesima e la diciottesima settimana di gravidanza.
  • la diagnosi neonatale, più diffusa, comprende un sistema di analisi a più livelli. Il primo “step” è rappresentato dal test della tripsina immunoreattiva (IRT) che consiste nel prelevare una goccia di sangue dal neonato al suo secondo-terzo giorno di vita per analizzare i livelli di IRT; se questi risultano superiori al 98° centile, il neonato viene definito positivo e deve sottoporsi ad una seconda analisi: l’analisi molecolare delle mutazioni più rappresentate localmente. Quest’analisi si esegue analizzando il DNA estratto dalle cellule del neonato per valutare la presenza o l’assenza di due mutazioni del gene preso in considerazione (in questo caso il gene CFTCR ); 2 mutazioni consentono di porre diagnosi di malattia ma qualora se ne individui una sola il neonato viene richiamato e sottoposto al test del sudore (terzo step) per una conferma o una smentita diagnostica definitiva. Il test del sudore, misura la concentrazione del sale (e quindi del cloro) nel sudore: una concentrazione superiore ai 50 milliequivalenti nei primi mesi di vita e di 60 milliequivalenti di cloro per litro dopo i 6 mesi orienta lo screening decisamente verso la presenza della malattia mentre valori di cloro inferiori ai 30 nei primi mesi di vita e ai 40 milliequivalenti dopo i primi 6 mesi escludono la malattia, pur con qualche rara eccezione.

Come si esegue l’analisi genetica per scoprire se si è portatori sani della fibrosi cistica?

Specie se ci sono stati in famiglia casi di fibrosi cistica, la ricerca di mutazioni a carico del gene CFTCR, è molto utile per sapere se si è o meno portatori sani della patologia e per diagnosticare problemi di infertilità specialmente se, da un precedente spermiogramma, l’esame del liquido spermatico che indica il numero degli spermatozoi, la morfologia, la motilità e quindi la loro funzionalità, sono state riscontrate oligospermia (concentrazione del liquido seminale ridotta al di sotto dei 20milioni/ml), astenospermia (motilità degli spermatozoi ridotta del 30%), teratospermia (percentuali di forme normali degli spermatozoi al di sotto del 30%, e quindi della norma) o oligoastenoteratospermia (astenospermia, oligospermia e teratospermia insieme).

L’analisi genetica per scoprire se si è portatori sani della fibrosi cistica consiste in un prelievo di sangue, utile per estrarre delle cellule e, da queste, il DNA contenuto nel loro nucleo. Tale DNA viene quindi analizzato per stabilire la presenza o meno del gene CFTCR (codificante per la fibrosi cistica) nello stadio alterato. Le alterazioni dei geni sono anche definite mutazioni. Se un individuo presenta una sola mutazione del gene in questione allora lo si definisce portatore sano e, pur non presentando i sintomi tipici della malattia, trasmetterà l’alterazione al figlio il quale, nel caso in cui ereditasse una seconda mutazione dall’altro genitore, finirebbe per presentare la malattia stessa. Si è stimato, da recenti statistiche, che 1 persona su 25-30 viene scoperta portatrice sana della fibrosi cistica. Ciò vale a dire che 1 coppia su 600 è costituita da due portatori sani e che, i loro figli, avrebbero 1 probabilità su 4 di essere affetti.

L’analisi del DNA ottenuto dal prelievo del sangue viene condotto operando inizialmente una reazione enzimatica di amplificazione del DNA, conosciuta come Polymerase Chain Reaction (PCR), che consente di amplificare in vitro una specifica regione della molecola, copiandola in varie fasi successive, fino ad ottenerne milioni di copie. La regione da amplificare qualora si voglia eseguire il cosiddetto test del portatore sano, ovviamente, è quella contenente il gene CFTCR la cui mutazione provoca la fibrosi cistica. Successivamente, i prodotti di PCR così ottenuti, vengono sottoposti in parte all’Oligonucleotide Ligation Assay (OLA), mentre i rimanenti vengono sottoposti a sequenziamento automatico. Mediante quest’ultima tecnica, impiegando un sequenziatore automatico a fluorescenza, viene effettuato il controllo della presenza di eventuali mutazioni.

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