A sottolinearlo il rapporto “Global progress report on accelerating access to hepatitis C diagnostics and treatment”, pubblicato di recente dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. “Gli sforzi globali per aumentare l’accesso agli interventi ad alto impatto per l’epatite C devono essere sostenuti e accelerati nel prossimo decennio, come parte degli sforzi più ampi verso una copertura sanitaria universale”, hanno detto gli esperti. Molti Paesi nel mondo, soprattutto a basso e medio reddito, sono riusciti a ridurre l’impatto dell’epatite C, grazie ad un maggiore accesso ai test e alle cure. E alcuni di questi sono riusciti ad ottenere un aumento pari a 20 volte del numero di persone trattate con farmaci retrovirali ad azione diretta, sicuri ed efficaci, tra il 2015 e il 2018. A rivelarlo è stato il rapporto “Global progress report on accelerating access to hepatitis C diagnostics and treatment”, pubblicato di recente dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms).
L’epatite C, come spiega il sito del polo ospedaliero “Humanitas”, è una patologia causata da un virus, l’Hcv, che attacca il fegato e causa infiammazione. La maggior parte delle persone affette da epatite C non riscontrano alcun sintomo, almeno fino a quando i danni al fegato non emergono, “anni o addirittura decenni più tardi rispetto all’infezione”. Entro il 2018, si legge in un comunicato diffuso proprio sul portale dell’Oms, più di 120 Paesi nel mondo hanno adottato una strategia nazionale contro l’epatite virale, rispetto ai 20 paesi che risultavano solo alcuni prima, nel 2012. Questa situazione ha contribuito ad un’accelerazione dell’adozione di una strategia globale contro l’epatite virale, con un numero di Paesi che ha compiuto progressi definiti “impressionanti” grazie all’impegno dei governi sul tema, che hanno redatto piani strategici nazionali, semplificato le linee guida, nonché aumentato la disponibilità di opzioni diagnostiche e di trattamento più economiche ed efficaci.
Il rapporto sottolinea però che, nonostante le sfide legate alla pandemia di Covid-19 in corso, i progressi raggiunti in quest’ottica sono sì importanti, ma ancora non del tutto soddisfacenti e che l’accesso ai test e al trattamento dell’epatite C non ha raggiunto livelli di copertura sufficienti per ottenere l’obiettivo globale previsto dagli esperti, ovvero quello di eliminare l’epatite virale come minaccia della salute pubblica, entro il 2030. A livello globale, infatti, alla fine del 2017, solo 5 milioni (il 7%) dei 71 milioni di persone cronicamente infette da Hcv avevano ricevuto cumulativamente un trattamento con antivirali ad azione diretta. “Mentre i Paesi nel mondo continuano ad affrontare il peso della malattia e le interruzioni dei servizi causati dalla pandemia di Covid-19, è fondamentale garantire che il recente slancio e i progressi nella risposta all’epatite C non vadano persi”, ha affermato il dottor Minghui Ren, vicedirettore generale dell’Oms per la copertura sanitaria universale, le malattie trasmissibili e non trasmissibili. “Gli sforzi globali per aumentare l’accesso agli interventi ad alto impatto per l’epatite C devono essere sostenuti e accelerati nel prossimo decennio, come parte degli sforzi più ampi verso una copertura sanitaria universale”, ha sottolineato.
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