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Un accumulo di ferro eccessivo nel pancreas può provocare diabete, mentre nel fegato può causare un rigonfiamento, ma anche cirrosi, tumore del fegato o insufficienza epatica, mentre un eccesso di ferro nel cuore può provocare arresto cardiaco e aritmie.
Quando si verifica tale sovraccarico, la principale conseguenza è quella di provocare un avvelenamento degli organi e, di conseguenza, anche il collasso degli stessi. Il ferro può cominciare ad accumularsi all’interno di un gran numero di organi, ma nello specifico quelli maggiormente colpiti sono il cuore, il pancreas e il fegato.
Ci sono essenzialmente due tipologie di emocromatosi, che si differenziano in primarie e secondarie. L’emocromatosi primaria è quella che viene provocata da un’anomalia della struttura genetica che gestisce la concentrazione di ferro che viene assorbita mediante l’alimentazione. Questa particolare forma viene chiamata anche con il nome di emocromatosi ereditaria oppure classica. Si tratta sicuramente della tipologia maggiormente diffusa in confronto a quella secondaria.
In questo caso l’alterazione genetica va a colpire i geni HFE: questi ultimi, infatti, consentono l’assorbimento di un quantitativo eccessivo di ferro. Nel caso in cui il paziente abbia ereditato due copie del gene HFE alterato, il pericolo che potrebbe insorgere è quello di un accumulo eccessivo di ferro nell’organismo e, di conseguenza, lo sviluppo dei sintomi connessi a tale patologia. Con un solo gene HFE difettoso, invece, il paziente assume il ruolo di portatore sano: non ha i sintomi di tale patologia, ma è in grado comunque di trasmettere tale alterazione genetica ai propri figli.
Questa seconda forma si caratterizza per insorgere per colpa di un’altra malattia o di un altro problema che ha determinato un eccessivo accumulo di ferro. Tra le patologie correlate troviamo sicuramente svariate forme di anemia, come ad esempio l’anemia sideroblastica oppure la talassemia, ma possono essere le cause scatenanti anche delle malattie croniche che vanno a colpire il fegato, come ad esempio l’epatite C cronica, oppure le patologie epatiche che sono provocare da un consumo eccessivo di bevande alcoliche oppure dalla steatoepatite non alcolica.
Inoltre, tra le altri possibili cause troviamo certamente anche l’atransferrinemia e l’aceruloplasminemia, ovvero due patologie di carattere ereditario particolarmente rare. Ci sono anche altre situazioni che possono portare allo sviluppo dell’emocromatosi secondaria. Si tratta, ad esempio, delle trasfusioni di sangue, ma anche dell’impiego di integratori di ferro (sia quando si tratta di compresse che iniezioni), con una contemporanea o meno assunzione di vitamina C. Infine, un altro fattore di rischio che può portare allo sviluppo dell’emocromatosi secondaria è una dialisi prolungata nel tempo.
La forma di emocromatosi primaria si verifica più spesso negli uomini, con un rischio maggiore per le persone anziane. Bisogna mettere in evidenza, però, come i sintomi cominciano a insorgere negli uomini non prima dei 40-60 ani. Nelle donne, invece, tali sintomi non insorgono prima dei 50 anni e nei bambini, al contrario, tale problematica è davvero molto rara. Il fattore di rischio più importante è sicuramente quello ereditario, ovvero la presenza di due geni HFE che sono difettosi e che vengono trasmessi dai genitori.
In realtà, può capitare che dei pazienti che abbiano entrambe le copie del gene difettose, non abbiano sofferto di alcun tipo di sintomo connesso a tale patologia. Un altro fattore di rischio particolarmente diffuso è rappresentato dal consumo di bevande alcoliche. Ci sono anche altre patologie che possono aumentare tale rischio e corrispondono essenzialmente alla disfunzione erettile, all’artrite, al diabete, all’infarto e alle patologie che vanno a colpire i reni.
Nelle persone di sesso femminile ci sono più possibilità che compaiano per primi i sintomi generici, come ad esempio il senso di stanchezza. Nelle persone di sesso maschile, al contrario, sono le complicazioni come cirrosi e diabete ad avere maggiori possibilità di insorgere prima. I sintomi, come si può facilmente intuire, sono differenti in base alla gravità della patologia. Tra quelli che possono insorgere con la maggiore frequenza troviamo stanchezza, debolezza, perdita di peso, dolore alle articolazioni e mal di stomaco. Come abbiamo già evidenziato in precedenza, può capitare che tanti pazienti non presentino alcun sintomo.
Nel caso in cui si tardasse eccessivamente ad arrivare ad una diagnosi corretta, il ferro può depositarsi in maniera eccessiva all’interno del corpo ed è in grado di provocare un gran numero di conseguenze negative. Tra i vari rischi troviamo l’insorgere di patologie che vanno a colpire il fegato, come ad esempio l’epatomegalia, tumore al fegato e insufficienza epatica, ma anche problematiche cardiache, che portano ad esempio all’arresto cardiaco oppure ad aritmie.
Tra le varie conseguenze possibili troviamo il diabete (il rischio è chiaramente più alto nei pazienti che hanno dei precedenti familiari), lesioni e dolori che colpiscono le articolazioni, ma anche disturbi che vanno a colpire l’apparato riproduttore, come ad esempio impotenza e contrazione dei testicoli, ma anche scomparsa del ciclo mestruale e menopausa precoce. Altri possibili rischi sono le lesioni che vanno a colpire le ghiandole surrenali, una ridotta azione di ipofisi e tiroide, ma anche delle problematiche che riguardano il colore della pelle (tendente al grigiastro o al bronzo).
Spesso è sufficiente un normale esame del sangue per diagnosticare l’emocromatosi. L’attenzione maggiore va su alcuni parametri come la ferritina, la saturazione della trasferrina, TIBC e il dosaggio del ferro sierico. Quando la sideremia supera il 60% negli uomini e il 50% nelle donne, è probabile che ci sia emocromatosi, anche in assenza di sintomi. Una conferma si può ottenere con la biopsia epatica. Ogni test deve essere chiaramente fatto eseguire all’intero nucleo familiare.
Il trattamento per eliminare la quantità di ferro in eccesso è privo di difficoltà, efficace e facile da tollerare. Di solito è previsto un salasso di una quantità di sangue che va da 350 a 450 mL. Tale quantitativo viene scelto in base al peso del paziente. Il salasso viene svolto ad una frequenza che può variare. Una volta al mese nei casi meno gravi, una volta alla settimana o ogni quindici giorni nelle situazioni più problematiche. La salute più precaria di alcuni pazienti richiede una cura diversa da stabilirsi in centri specializzati. Dopo il salasso, il trattamento terapeutico mira a limitare il deposito di ferro nei vari organi.
Nei pazienti che hanno più di 70 anni il salasso deve essere oggetto di attenta e profonda valutazione. In questi casi spesso si ricorre alla somministrazione di deferoxamina. È una sostanza chelante che favorisce l’escrezione del ferro, ma comporta spesso varie controindicazioni, come febbre e cefalea. La somministrazione avviene intramuscolo oppure tramite una pompa sottocute per 8-12 ore.
Il primo esame che è necessario fare per diagnosticare l’emocromatosi di tipo 1,2 e 3 è indubbiamente la saturazione della transferrina. Si tratta di un test che non presenta alcuna difficoltà, costa veramente poco ed è decisamente sensibile. La ferritina sierica permette di calcolare a quanto ammonti il sovraccarico di ferro. La patologia insorge quando i valori superano i 200 mcg/L nelle donne e i 300 mcg/L negli uomini. Ad ogni modo, i valori che si possono considerare come limiti della ferritina sono diversi in base all’età del paziente; nello specifico variano soprattutto nelle donne durante l’età fertile e durante l’infanzia. Quando il sovraccarico di ferro si trova nella fase di sviluppo iniziale, allora i valori della ferritina possono anche essere normali. Quando invece tali valori sono alti, con una saturazione della transferrina normale invece, allora devono essere escluse tutti quei motivi che sono in grado di comportare un aumento aspecifico della ferritina.
L’emocromatosi ereditaria viene causata da un’alterazione di tipo genetico che ha come conseguenza principale quella di causare un assorbimento troppo alto di ferro all’interno dell’intestino, con un accumulo di tale metallo anche in altri organi e tessuti. Il gene scatenante di tale situazione è l’HFE, che si trova sul braccio corto del cromosoma 6, anche molto vicino rispetto ai geni HLA. All’interno del gene HFE ci sono dei dati che si riferiscono alla produzione di proteine fondamentali per regolare l’assorbimento di ferro nell’organismo. Sono due le mutazioni più importanti che sono state riscontrate: si tratta delle mutazioni C282Y e H63D. I primi sintomi di tale patologia cominciano a insorgere nel momento in cui il sovraccarico di ferro comincia a superare la soglia di 5 grammi circa.
Ci sono diverse analisi di laboratorio che permettono di individuare tale problematica. Si tratta della saturazione della transferrina: questo test consente di capire il quantitativo di transferrina legata al ferro e il quantitativo che c’è ancora a disposizione per svolgere tale funzione. Quando la transferrina satura oltre la percentuale di 45-50%, allora si tratta di uno dei primi segnali della possibile emocromatosi del paziente. Il secondo esame è la ferritinemia, ovvero quel particolare composto che assumere la funzione di vero e proprio deposito di ferro nelle varie cellule. Il terzo esame è l’analisi genetica che si verifica mediante l’analisi delle mutazioni C282Y e H63D che colpiscono il gene HFE. In poche parole, viene eseguito un normale prelievo di sangue, dalle cui cellule viene estratto il DNA e poi vengono monitorare e analizzate le due mutazioni che coinvolgono il gene HFE.
Chi entra in cura precocemente di solito non subisce i rischi dell’emocromatosi, conservando una normale qualità di vita. Quando la diagnosi è tardiva, allora gli organi sono già stati danneggiati. Il paziente necessita di un’attenta e costante sorveglianza. Anche in questi ultimi casi la cura aiuta a migliorarne le condizioni e la speranza di vita.
Quando è di carattere ereditario, l’emocromatosi colpisce anche persone che seguono una dieta normale. In questi casi, è necessario continuare ad avere un’alimentazione corretta, con dei rapporti in equilibrio tra proteine, carboidrati e grassi. Anche se mancano evidenze scientifiche, consumare troppa carne può portare ad un notevole accumulo di ferro. Importante ridurre in modo drastico anche interiora e crostacei, che apportano un alto quantitativo di ferro. Meglio limitare il più possibile anche vino e superalcolici che favoriscono il progredire della cirrosi. È sconsigliato anche il consumo di ostriche e frutti di mare crudi. Il rischio, in questi casi, è la presenza del batterio Vibrione, che potrebbe avere conseguenze anche letali.
La patologia metabolica spesso non è invalidante e non fa parte dei casi elencati dalla legge 104 sulle persone portatrici di handicap. Quindi, non ci saranno tutele particolari da parte della ASL. Nel caso in cui, però, le conseguenze della malattia siano particolarmente gravi, allora sarà possibile effettuare una richiesta di invalidità. Dopo il riconoscimento dell’autorità, il paziente potrà usufruire delle agevolazioni previste. In ogni regione e in tutte le più importanti città italiane ci sono dei centri specializzati per la cura dell’emocromatosi. Ecco la pagina associata di Telethon in cui si possono trovare vari indirizzi.
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