Da quando è cominciata l’emergenza sanitaria correlata alla diffusione della COVID-19 i professionisti sanitari sono impegnati in prima linea a fronteggiare l’epidemia nei vari setting del servizio sanitario, esposti al rischio di infezione e a un sovraccarico emotivo: carenza di adeguati dispositivi di protezione individuale, turni di lavoro incalzanti, fatica fisica, riduzione delle risorse umane e in alcuni casi precarietà organizzativa. A questo si aggiungono situazioni determinate dalla forte pressione a cui è sottoposto il servizio sanitario, che possono contribuire ad appesantire ulteriormente il vissuto emotivo dei professionisti: essere chiamati a intervenire in discipline diverse da quelle di appartenenza; la possibilità, per i medici neolaureati o gli specializzandi ancora in formazione, di trovarsi a fronteggiare condizioni critiche che richiederebbero maggiore esperienza; l’invito a continuare a lavorare anche se si è stati a contatto con pazienti affetti da COVID-19 e permanga il timore del contagio; le cure e il sostegno prestati a domicilio dai medici di medicina generale agli assistiti con sintomi più lievi.
Le fonti di stress
Quelli sopra riportati sono solo alcuni esempi per evidenziare che in questo momento tutti gli operatori sanitari, e coloro che sono coinvolti nella rete di gestione dell’emergenza, sia in setting di ricovero che di comunità (gli operatori sanitari degli ospedali, il personale di pronto soccorso, gli operatori dei dipartimenti di prevenzione e dei servizi epidemiologici, delle ambulanze, delle Residenze sanitarie assistite, RSA, ma anche i volontari della protezione civile), sono esposti a condizioni organizzative, relazionali, psicologiche e riguardanti la sicurezza che rappresentano una fonte di stress.
Il rischio psicosociale
La letteratura scientifica dedicata allo stress lavoro-correlato ha ampiamente confermato come il settore sanitario sia di per sé caratterizzato dalla presenza di fattori di rischio psicosociale strettamente legati all’organizzazione lavorativa, alla sicurezza e alla salute degli operatori: turni, reperibilità, gestione di emergenze/urgenze, carenza di personale; confronto quotidiano con situazioni di estrema sofferenza; potenziale rischio di episodi di aggressione verbale e/o fisica. Fattori che in questo momento di emergenza sono grandemente amplificati, a partire da quelli relativi alla sicurezza degli operatori, cioè alle misure di prevenzione e protezione.
La sicurezza occupazionale
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ricorda che il primo passo per tutelare la salute del personale sanitario durante un’epidemia è l’attuazione di tutte le misure necessarie a proteggerne la sicurezza occupazionale. Il datore di lavoro e i dirigenti delle strutture sanitarie devono garantire l’adozione delle misure preventive e protettive necessarie rendendo disponibili forniture adeguate dei dispositivi di protezione individuale in quantità sufficiente per gli operatori sanitari o altro personale che si occupi di pazienti sospetti o confermati, consultando gli operatori sanitari sugli aspetti della sicurezza e della salute sul lavoro nella propria attività quotidiana. Va tuttavia considerato che nel corso di un’epidemia, anche quando le misure preventive e protettive siano adeguate, il personale sanitario resta esposto a un alto livello di stress psicologico oltre che fisico: timore di contrarre l’infezione e di trasmetterla ai propri familiari, elevata mortalità, sofferenza per la perdita di pazienti e colleghi, separazione spesso prolungata dalla famiglia, cambiamenti nelle pratiche e procedure di lavoro, necessità di fornire un maggiore supporto emotivo ai pazienti in isolamento, fatica fisica legata all’utilizzo dei dispositivi di protezione.
Lo stress psicolofisico degli operatori sanitari
Da alcuni studi si rileva che, rispetto ad altre situazioni di emergenza sanitaria come per esempio le catastrofi naturali, i fattori di rischio che possono contribuire ad accrescere lo stress psicofisico degli operatori durante un’epidemia sono proprio l’isolamento sociale, dovuto alle misure di distanziamento e quarantena o in alcuni casi alla discriminazione, e l’assenza del sostegno familiare a causa del pericolo di contagio. La paura e la preoccupazione di contagio per sé e per i propri familiari, ancor più in presenza di figli piccoli, possono condurre l’operatore sanitario a un vero e proprio auto-isolamento. Il carico di lavoro aumentato riduce anche il confronto con i colleghi e il rapporto con i pazienti cambia radicalmente. È frequente che emergano emozioni di rabbia, ostilità, frustrazione, senso di impotenza e che si manifestino sintomi depressivi e stati d’ansia con somatizzazioni, insonnia, aumento del consumo di caffeina e di tabacco.