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Attualmente si stima che un quarto della popolazione mondiale sia affetta da tale parassita, che determina ogni anno circa 20.000 casi di mortalità nei bambini. È stato possibile osservare specie nelle forme adulte del parassita Ascaris, la sua fuoriuscita dalle fistole ombelicali, dalla vescica, dalle trombe di Eustacchio, dalle tube di Falloppio, dal naso, dalla bocca e localizzarsi anche nei polmoni e nel cuore.
Come abbiamo introdotto inizialmente, le ascaridi sono dei parassiti che possono essere in grado di attaccare l’apparato umano. Generalmente l’infestazione interessa i mammiferi, per questo l’essere umano rientra a far parte di loro, ed è possibile inoltre, che il contagio possa interessare i bambini nei loro primi anni di vita. Una volta che il verme o le larve sono state ingerite dal piccolo, il parassita una volta raggiunto l’intestino prosegue il suo ciclo vitale ed una volta adulto rilascia le uova. Esso può passare lacerare le pareti intestinali e emigrare nel circolo sanguigno, inizialmente nel cuore e poi nei polmoni. Una volta stazionato nei polmoni, risale la cavità orale, e provoca nel bambino manifestazioni di tosse oppure starnuti. La sintomatologia può determinare inoltre la comparsa di nausea o vomito ed in fasi alterne diarrea e stipsi. Ulteriori manifestazioni possono includere ostruzione intestinale o del fegato che a loro volta possono determinare epatiti, colecistiti acuta, calcolosi ed ittero.
In presenza di ascaridi, solitamente il medico prescrive al malato la somministrazione di farmaci antiparassitari come ad esempio il Vermox, oppure il Combantrin, da assumere per via orale in maniera tale da poter uccidere i nematodi presenti nell’intestino. Dopo tre settimane dal trattamento vengono riesaminate le feci, per controllare la presenza o meno di vermi e uova, e la sintomatologia tendenzialmente scompare nell’arco di una settimana dall’inizio della cura farmacologica. In casi molto rari è possibile che venga rimosso chirurgicamente il verme, specialmente quando questo ha ostruito l’intestino, oppure il fegato o ha provocato infezioni gravi all’addome. Un bambino affetto da ascaridiasi dovrebbe assumere i medicinali anche successivamente la remissione del problema, per evitare in questa maniera la reinfezione, inoltre il genitore dovrebbe adottare un comportamento igenico corretto, che prevede il lavaggio delle mani del piccolo ogni volta andato in bagno, mantenere le unghie sempre corte, sterilizzare tutto il vestiario compreso l’abbigliamento intimo, e controllare sistematicamente lo stato di salute degli animali domestici.
Una volta che le uova hanno raggiunto la parte superiore del piccolo intestino, queste si schiudono, lasciando fuoriuscire in questa maniera tutte le larve, che si dirigono verso il sangue dopo aver perforato le pareti intestinali. Trasportante dal circolo sanguigno, le larve raggiungono il cuore destro, che mediante la contrazione, le spinge mano a mano verso i capillari polmonari, dove qui si insediano ed intraprendono il loro ciclo di sviluppo. Trascorsi circa 10 giorni, le larve che si sono ulteriormente sviluppate, risalgono a vanno a stazionarsi nel cavo orale, dove vengono in parte eliminate con colpi di tosse e starnuti. Una volta raggiunto nuovamente il piccolo intestino, le larve ingerite completano il loro sviluppo divenendo adulte in pochissimi mesi. Dopo l’accoppiamento, ogni femmina depone circa 20.000 uova nuove ogni giorno, che vengono emesse mediante le feci oppure disperse nel terreno, dove in condizioni climatiche favorevoli, possono vivere molto a lungo prima di essere ingerite tramite il consumo di acqua e vegetali. All’interno di ogni singolo uova si sviluppa la larva, che nell’arco di poco tempo subisce due trasformazioni prima di raggiungere l’apparato umano e di infestarlo.
Uno dei principali test utili a comprendere se una persona è affetta o meno da ascaridiasi è l’esame delle feci. Attraverso esami endoscopici e radiologici sono utilissimi quando si ha il sospetto che l’Ascaris sia penetrato dentro il duodeno e nelle vie biliari. Alcune volte, un soggetto può testimoniare la presenza di tale malattia attraverso l’emissione dei vermi nelle feci oppure con il vomito, e molto spesso, questi possono essere in grado di risalire in maniera del tutto spontanea il tubo digerente, ed uscire sia dalla bocca che dal naso. La prevenzione dell’ascaridiasi si basa principalmente sul rispetto delle norme igieniche che tutti dovrebbero adottare, ma molto spesso carenti nei paesi del terzo mondo. Tali sistemi prevedono il lavaggio e la cottura dei vegetali in maniera adeguata, così da poter uccidere le uova mediante il calore.
Con il termine capillariosi polmonare, si vuole indicare una patologia determinata da Capillaria Aerophila, tipica dei selvatici, ovvero delle volpi e delle mustelidi ad esempio. Tale malattia è in grado di infestare anche animali domestici come il cane ed il gatto ed in casi sporadici può manifestare carattere zoonosico. Il batterio adulto vive nella mucosa della trachea, dei polmoni e dei bronchi ed alcune volte può stazionare nei seni nasali e frontali. La capillarosi è poco conosciuta attualmente ed anche sottostimata, perché si ritiene che il parassita non sia in grado di avere potere patogeno, e che l’infezione negli animali sia solo una forma sporadica. Oltre a questo, pone anche delle difficoltà per quanto riguarda la diagnosi corretta e tempestiva, che non permette inoltre di acquisire informazioni utili sulla diffusione del nematode e sulla sospetta correlazione tra C. Aerophila ed i quadri clinici respiratori. Attualmente quindi, abbiamo poche informazioni sulla capillariosi del cane e del gatto, anche se negli ultimi anni sembra essere aumentato l’interesse di tale malattia da parte della Comunità Scientifica.
La diagnosi certa per la capillariosi viene eseguita tramite il ritrovamento ed il riconoscimento delle uova tipiche del parassita sia nel muco che attraverso il lavaggio bronchiale, ovvero nelle feci dell’animale infetto. Per ricercare le uova, si può utilizzare il metodo della flottazione tramite saccarosio, oppure cloruro di sodio o solfato di zinco, anche se tendenzialmente soluzioni con un peso specifico che si aggira intorno a 1200-1350, forniscono risultati più soddisfacenti. In presenza di tali parassiti, è bene rivolgersi tempestivamente dal proprio veterinario, che dopo una visita accurata, prescriverà la cura adeguata.
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