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L’arteriopatia è una patologia che tende ad esordire con la crescita dell’età, ed attualmente grazie ad uno studio medico accurato, è stato possibile verificare come tale disturbo, sembra colpire un ultrasettantenne su tre.
I fattori in grado di incrementare questa malattia anche in età giovanile sono: il consumo di sigarette, la sedentarietà e la presenza di patologie importanti come il diabete.
Le cure farmacologiche ed i vari trattamenti, sono molto importanti, non solo per preservare la perdita dell’arto interessati, ma anche per ridurre al minimo il rischio di manifestare infarti o ictus, due condizioni mediche importanti, che potrebbero inoltre mettere in pericolo la vita del paziente e che sono strettamente connesse con l’arteriopatia periferica.
L’ arteriopatia periferica in forma leggera può non manifestare alcun sintomo riconducibile ad essa, ma nei casi più gravi, la sintomatologia può manifestarsi in maniera severa.
Uno dei sintomi caratteristici di tale patologia è il caludicatio intermittens, ovvero il forte dolore che viene percepito dal paziente negli arti inferiori o superiori dopo uno sforzo fisico o una camminata, che tende a scomparire stando a riposo.
Altre manifestazioni dell’arteriopatia periferica sono:
Il primo passo da compiere in presenza di tale patologia, è la riduzione del fumo, nel caso il paziente abusasse, l’introduzione di attività fisica costante, ed alcune modifiche dell’alimentazione.
Oltre a questi accorgimenti molto importanti, vi è la possibilità di intervenire chirurgicamente, attraverso l’angioplastica percutanea.
Tale pratica è una procedura mini invasiva, che si esegue in anestesia locale, è viene svolta o dal cardiologo, oppure dal chirurgo vascolare, o dal radiologo interventista, che esegue l’intervento inserendo un tubicino sottile e lungo chiamato catetere, nell’arteria del polso oppure dell’inguine o del braccio, che viene fatta scorrere fino all’arteria interessata dal restringimento.
Dopo si inserisce un liquido di contrasto per visualizzare la sede del restringimento effettuando in questa maniera, un arteriografia.
L’arteriopatia cronica ostruttiva, colpisce tendenzialmente tutti i vasi sanguigni dell’organismo, anche se lacune determinate zone possono essere maggiormente interessate.
In alcuni casi possono essere coinvolti i vasi cardiaci, provocando nel paziente infarto e dolore al petto, mentre in altri casi, potrebbero essere colpiti i vasi del circolo cerebrale, scaturendo ictus o deterioramento delle funzionalità cognitive di un soggetto.
Quando la patologia colpisce i vasi presenti agli arti inferiori, la patologia può provocare una sintomatologia più o meno invalidante al paziente, come forte dolore ai polpacci, alle natiche, nelle parte bassa della schiena, ovvero la zona renale o alla cosce, che gli impedisce di svolgere le attività quotidiane e che trovano sollievo una volta a riposo.
L’ arteriopatia periferica diabetica, è conosciuta anche come “piede diabetico”, ed è una complicanza che insorge con la presenza di diabete nel sangue. Tale patologia tende a colpire pazienti già affetti da neuropatie o vasculopatie periferiche, per questo si può definire come una ulteriore complicanza di queste patologie.
La neuropatia periferica è la maggiore responsabile del piede diabetico, anche se in realtà i dati epidemiologici hanno mostrato nel corso tempo, una elevata prevalenza di vasculopatia in soggetti affetti da diabete.
I sintomi possono essere mascherati dalla presenza di neuropatia, come il claucatio, le ulcere che non riescono a guarire e la gangrena.
Tale patologia tende a colpire tutti i soggetti che hanno una lunga durata di malattia, con la possibilità di differente comorbilità, e che sono particolarmente fragili e molto complessi da gestire a livello clinico.
L’intervento chirurgico in presenza di arteriopatia periferica, consiste nel ristabilire l’apporto adeguato di sangue verso i tessuti ischemici, mediante l’asportazione di ateromi o saltando l’ostruzione attraverso materiale protesico.
Nel primo caso si esegue la rimozione chirurgica della placca, che permette di ristabilire il normale funzionamento arterioso, specialmente nei tratti di biforcazione, mentre nel secondo caso, l’intervento chirurgico, permette grazie all’interposizione di canali protesici, di superare le ostruzioni presenti e di ristabilire l’adeguato apporto sanguigno verso i tessuti ischemici degli arti inferiori.
Tale pratica è molto vantaggiosa rispetto alla chirurgia tradizionale, perché non comporta degenza e recupero lunghi grazie all’assenza di ferite.
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