La anisakidosi, conosciuta comunemente anche con il nome di malattia del “verme delle aringhe”, è una patologia determinata dalla presenza e dallo sviluppo dell’anisakis, nematodi (vermi) parassiti, che possono annidarsi nelle pareti dello stomaco, generalmente in seguito all’assunzione di pesce crudo o poco cotto.
I sintomi
I sintomi più comuni con cui si manifesta la malattia sono una condizione di dolore allo stomaco acuto e severo, accompagnati da nausea e vomito, da una febbre lieve e a volte (ma non sempre) da sangue nel vomito, frutto della presenza di ulcera.
La biologia dell’Anisakis
L’Anisakis dei vermi che attaccano lo stomaco di alcuni mammiferi marini, e sono abbastanza grandi da poter essere osservati senza l’ausilio dei microscopi. Hanno un colore bianco e vivono solo in ambienti marini.
Per la riproduzione i vermi producono delle uova che vengono poi rilasciate attraverso le feci degli animali ospitanti. Una volta in mare, le uova si sviluppano e una volta schiuse, rilasciano le piccole larve.
Queste vengono ingoiate da altri animali marini più piccoli per iniziare lo sviluppo. In genere sono i crostacei e i krill ad ospitare le larve al primo stadio. Gli animali che si nutrono di questi crostacei, ingerendo i piccoli krill, ingeriscono anche le larve, che sopravvivono e continuano il loro sviluppo.
Inizialmente vengono infettati piccoli pesci, e scalando la catena alimentare si arriva a pesci di più grandi dimensioni, come le foche, i delfini e le balene.
Quando le larve sono ospitate dei pesci di medie dimensioni, in quello che si chiama ospite intermedio, o paratenico, non ha possibilità di sviluppo. Questo avviene solo quando i pesci intermedi vengono mangiati dai grandi pesci, che sono l’ospite definitivo. Si tratta di mammiferi marini, in cui la larva passa allo stato di verme.
Gli ospiti intermedi a volte possono essere definiti accidentali. Si tratta degli uomini, che mangiano del pesce contaminato. L’uomo quindi ingerisce le larve, attraverso l’alimentazione di pesce crudo o poco cotto. Il verme dunque si sviluppa solo in alcuni mammiferi specifici. Una volta sviluppato misura tra uno e tre centimetri. Essendo l’uomo un ospite occasionale, la larve non può svilupparsi per produrre le uova.
Le cause
Considerato che l’anisakis non può essere direttamente trasmesso tra gli esseri umani, la modalità di contagio con questi parassiti è generalmente legata al consumo di carni poco cotte o crude di pesci come merluzzi, passere di mare, salmone del Pacifico, aringhe, rane pescatrici.
In questi casi è infatti possibile che l’uomo ingerisca pesci con parassiti, ingerendo anche le larve dei nematodi. Una volta penetrate all’interno dell’organismo, le larve finiscono con l’invadere l’apparato digerente determinando tale condizione patologica.
Una volta diffuse nell’apparato digerente, le larve si instaurano nella parete dello stomaco, dove permangono per diverso tempo. Solamente in alcuni casi possono penetrare più in profondità nella parete intestinale, perforandola e raggiungendo così il resto dell’organismo. Se invece i parassiti rimangono nella parete dell’apparato digerente, finiscono con l’essere rimossi dalle difese immunitarie dell’ospite. Morendo, le larve lasciano tuttavia una condizione di infiammazione.
I rischi
Fortunatamente, solo in pochi casi, quelli più gravi, l’anisakiasi determina molto dolore e la necessità di essere trattata con un intervento chirurgico. Nella maggior parte dei casi si tratterà di gestire i sintomi, che di norma proseguono per un po’ dopo la morte del parassita.
Si tenga conto che, inoltre, a volte i problemi sorgono anche nel caso in cui il pesce sia cotto. Le larve di anisakis sono infatti pericolose anche quando vengono cotte, sebbene con incidenza inferiore rispetto alle larve vive.
La diagnosi
Di norma si giunge alla diagnosi di anisakidosi quando il paziente avverte una sensazione di prurito o di bruciore in gola. Tossendo o vomitando riesce a estrarre dalla bocca il verme anisakis. In questo caso la diagnosi del disturbo è semplice, perché potrà essere effettuata con un solo esame visivo del nematode.
Negli altri casi invece la diagnosi potrebbe essere effettuata mediante un endoscopio, ovvero un dispositivo a fibre ottiche che consente al medico di esaminare l’interno dello stomaco e la parte iniziale dell’intestino tenue.
Nell’estremità dell’endoscopio è presente una piccola pinza meccanica che può essere usata per rimuovere il verme. A volte, ma si tratta di casi molto più contenuti, la diagnosi viene effettuata attraverso l’individuazione della lesione granulomatosa con un intervento in laparotomia.
In alternativa, per poter diagnosticare il disturbo ci si basa sulla storia del paziente e sulla ricostruzione delle sue abitudini alimentari. Spesso i pazienti che avvertono i sintomi di cui sopra riferiscono di aver mangiato pesce o calamari crudi o non ben cotti. La conferma della diagnosi di norma avviene poi per via endoscopica o radiografica, o per via chirurgica se il verme si è già annidato nelle pareti dell’apparato digerente.
Come prevenire l’infezione
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Per prevenire l’infezione bisogna controllare il proprio regime alimentare. Basta semplicemente consumare pesce ben cotto, oppure congelare il pesce crudo per un tempo adeguato prima di consumarlo. Le larve invece resistono a tecniche di conservazione come l’affumicatura, la salatura e la marinatura.
Inoltre è più facile che le larve penetrino nelle viscere dei pesci selvatici piuttosto che in quelle del pesce dall’allevamento. In questo modo, l’Olanda ha praticamente azzerato i rischi derivanti dalla parassitosi delle larve.
Il congelamento, nei paesi che tradizionalmente consumano pesce crudo, sembra essere molto efficace nella prevenzione della parassitosi. Molti governi hanno infatti approvato delle leggi per obbligare i rivenditori a congelare il pesce che sarà poi servito crudo. Tra questi la citata Olanda, che ha ottenuto ottimi risultati.
Il pesce va congelato al di sotto dei -18°C per non meno di 96 ore. Questo metodo uccide le larve, anche grazie ad un contingente trattamento termico. La temperatura richiesta per uccidere le larve non è raggiunta da tutti i freezer domestici. Dovete quindi prima informarvi se il vostro freezer è in grado i scendere a temperature al di sotto dei -18°C. Si tratta dei freezer classificati con tre e quattro stelle. Quelli di classificazione inferiore possono arrivare al massimo a -12°C.
Cuocere gli alimenti
La cottura è l’altro sistema sicuro per uccidere le larve. Questo va chiaramente contro alcune tradizioni culinarie. Il pesce ba quindi cotto per almeno un minuto con una temperatura interna (del cibo stesso) che superi i 60°C. Anche in questo caso è importante informarsi su come ottenere una temperatura interna al pesce così elevata. Molto dipende dalle dimensioni dell’alimento. Ad esempio, un filetto che sia spesso circa 3 centimetri, deve essere cotto per non meno di dieci minuti, per ottenere quella temperatura interna.
Le raccomandazioni dell’OMS sulla prevenzione della parassitosi hanno concluso che la temperatura di congelamento più sicura è oltre i -23°C. L’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda anche un’immediata cottura dopo lo scongelamento. Per l’Unione Europea, il congelamento deve essere di almeno 24 ore a -20°C per almeno 24 ore. Gli Stati Uniti invece danno indicazioni diverse: -35°C per 15 ore o -20°C per 7 giorni.
La cura
La cura dell’anisakidosi è evidentemente quella della rimozione del parassita dall’organismo, mediante endoscopia o attraverso intervento chirurgico. È anche vero, come sopra abbiamo già avuto modo di anticipare, che in alcuni casi l’infezione può fortunatamente guarire da “sola” o, meglio, ricorrendo a una terapia sintomatica. In altri pazienti, purtroppo, la malattia può sfociare in una lieve ostruzione intestinale per la quale può essere necessario l’intervento.
La prevenzione
Per poter prevenire la possibilità di contrarre l’anisakidosi è sufficiente evitare il consumo di pesce e di calamari crudi o poco cotti.
In particolare, sia il pesce che i molluschi dovrebbero essere cotti bene, con una temperatura interna di almeno 63 °C. Per quanto concerne il congelamento del pesce, viene ritenuto sufficiente un congelamento ad almeno -20 °C per 7 giorni (in totale), oppure ad almeno -35 °C fino a solidificazione, poi conservazione ad almeno -35 °C per 15 ore o infine ad almeno -35 °C fino a solidificazione poi conservazione ad almeno -20 °C per 24 ore.