Questa malattia genera la comparsa di eritrociti anomali, di forma spigolosa e che si aggregano facilmente. Tali proprietà anomale costituiscono un grave ostacolo allo scorrevole fluire dei globuli rossi dentro i sottilissimi vasi capillari, determinando così la possibilità che si creino degli “ingorghi” nell’apparato circolatorio sanguigno, con conseguenti danni tissutali da ischemia. Queste cellule a forma di falce, inoltre, presentano anche maggiore fragilità e più facilmente vengono sottoposte ad emolisi, generando questa grave forma di anemia, chiamata, per l’appunto, anemia falciforme (o drepanocitica, poiché “drepanos” in greco significa “falce”).
Non per niente la vita dei globuli rossi falciformi dura in media una decina di giorni, contro i circa quattro mesi degli eritrociti normali. E’ corretto affermare che gli effetti dell’anemia falciforme sono causati da un aumento della viscosità del sangue, dalla diminuzione delle quantità di ossigeno che viene messo a disposizione dei tessuti e dalla insorgenza di eventi di vaso – occlusione.
Come già scritto la forma di falce delle emazie si verifica in particolar modo in talune situazioni gravi, vale a dire, per esempio, ipossia, abbassamento del pH del sangue, qualche infezione grave, incremento della temperatura ed eventuali presenze di acido 2,3 bifosfoglicerico.
Tali situazioni sono classiche della parte venosa delle reti capillari ed incrementano, per esempio, se si effettuano attività fisiche estreme o se si soggiorni in alta montagna.
Cause
L’anemia falciforme è originata da mutazioni di un gene che presiede alla sintesi della emoglobina umana, trattasi di una grande proteina che è deve catturare l’ossigeno per poi trasportarlo a tutti i tessuti. Si trova dentro gli eritrociti e effettua la raccolta anche di una parte di anidride carbonica per poi trasportarla verso i polmoni, laddove avviene la sua eliminazione.
Negli individui adulti ciascuna molecola di emoglobina ha, nella propria struttura di tipo quaternario, quattro sotto unità delle quali 2 catene alfa, uguali, costituite da centoquarantuno aminoacidi, e 2 catene beta, uguali, costituite da centoquarantasei aminoacidi.
Nella patologia che stiamo analizzando, la anemia falciforme, la mutazione genetica riguarda una sola base di nucleotidi relativa al gene che codifica per la sotto unità beta. Tale mutazione (una timina viene rimpiazzata da una adenina) genera la sostituzione dell’acido glutammico (un aminoacido) con la valina (un altro amminoacido).
L’effetto della mutazione è una anomala forma di emoglobina (denominata “emoglobina S” dalla parola inglese sickle che vuol dire, appunto, “falce”), che possiede caratteristiche e strutture chimico – fisiche diverse. In ambiente con basse tensioni di ossigeno questa emoglobina anomala polimerizza, conseguentemente le emazie diventano più lunghe incurvandosi, giungendo così ad avere la caratteristica forma falciforme.
Come già specificato, l’anemia falciforme è una patologia di natura ereditaria e pertanto non si contagia. Non è neanche un effetto di qualche patologia infettiva o di carenze di natura alimentare. Anzi, chi ne soffra, ne soffre sin dalla nascita.
Sotto un profilo genetico si può parlare di malattia autosomica recessiva, vale a dire che i pazienti che hanno l’anemia falciforme diventano omozigoti a causa della mutazione. I soggetti eterozigoti (quelli che hanno ricevuto un gene soggetto a mutazione da un genitore ed il relativo allele non soggetto a mutazione dall’altro genitore), non presentano alcun sintomo dell’anemia falciforme. A meno che non vengano sottoposti a carenze gravi di ossigeno, ad emolisi, ad anemie, a crisi dolorosa o a complicazioni di natura trombotica.
Anche senza la presenza di anemia, negli individui eterozigoti la falcemia può essere dimostrata in vitro: in tali soggetti soltanto l’1% delle emazie circolanti possiede la forma falciforme, mentre negli omozigoti questo valore percentuale può salire sino al 50%.
Rischio di trasmissione ai figli
L’anemia falciforme è abbastanza diffusa soprattutto in determinate aree della Terra, per lo più in aree mediterranee (soprattutto in Africa) e maggiormente nelle zone in cui la malaria è ancora un problema diffuso, o almeno lo è stato in un recente passato. La depranocitosi, difatti, genera un effetto di protezione contro tale patologia che si diffonde grazie alle zanzare. All’incirca lo 0.2/0.3% della popolazione di colore americana è omozigote relativamente all’anemia falciforme, mentre gli eterozigoti sono circa l’8/13% della popolazione dei coloured.
Per la legge di Mendel se 2 soggetti eterozigoti procreano, per ogni parto sussiste una possibilità su quattro che il figlio abbia una emoglobina sana, una su due che sia un portatore sano, generalmente asintomatico (un eterozigote, per intenderci) ed una su quattro che sia ammalato a tutti gli effetti, e in modo sintomatico (quindi omozigote).
Per essere d’aiuto a tali coppie si sono create determinate metodiche relative alla fecondazione in vitro, grazie alle quali l’ovulo prelevato alla madre viene fecondato con gli spermatozoi prelevati al padre. Lo zigote viene dunque sottoposto ai test per la rilevazione eventuale del gene malato e quindi si procede al trasferimento nell’utero materno SOLO degli ovuli fecondati che non presentino la mutazione, laddove si impiantano per il normale proseguimento della gestazione. Tale metodica non è esente da limiti, vale a dire l’incertezza sulla positività dell’esito e gli alti costi.
Il portatore sano del gene con mutazione per l’anemia falciforme è facilmente identificabile: basta un normale esame del sangue. Si può anche fare una diagnosi prenatale. Per quelle coppie nelle quali almeno uno dei due futuri genitori provenga da una famiglia a rischio si rende necessario un consulto con un genetista per la valutazione dei rischi di generare dei figli affetti da anemia falciforme.
Dall’unione tra un soggetto eterozigote relativamente al gene responsabile di tale malattia e l’altro totalmente sano sotto questo profilo, possono vedere la luce figli che potrebbero essere portatori sani o anche con una emoglobina totalmente sana: per entrambe queste eventualità la probabilità è esattamente di uno su due ad ogni parto.