@alicerubik via Twenty20
Con il termine anchilosi si intende in genere un condizione a causa della quale le articolazioni del nostro corpo sono impossibilitate a svolgere la loro funzione, limitando in maniera totale movimenti che compiamo ogni giorno per mezzo di esse.
Tale rigidità articolare è causata da un’alterazione e una conseguente fusione delle parti che compongono ogni singola articolazione, vale a dire capsula articolare, cartilagini, ossa e legamenti.
La riduzione della mobilità può portare il soggetto ad assumere posture e abitudini scorrette che portano alla modificazione dell’articolazione stessa in modo irreversibile. In tal caso si parla di anchilosi totale, mentre se non vi è alcuna modifica irreversibile a livello osseo, la condizione di immobilità è parziale.
Qualora invece la rigidità sia causata da infiammazione muscolare, parliamo invece di contrattura, la quale permette, seppur in maniera limitata, di muovere l’articolazione.
Il primo fattore scatenante dell’anchilosi articolare è l’infiammazione di una o più parti costitutive dell’articolazione stessa. A livello osseo, la fusione di legamenti e capsule, così come la consunzione totale delle cartilagini, è causa diretta della rigidità articolare.
Tra le altre cause rientrano anche traumi o fratture di varia natura, così come l’avanzare dell’età, la quale porta ad un naturale invecchiamento dei tessuti articolari. Per quanto riguarda invece cause legate ad altre patologie, tra queste abbiamo la gotta e l’artrite reumatoide.
Tra le diverse tipologie di anchilosi articolare annoveriamo:
In genere il paziente viene sottoposto ad indagine radiografica, mediante la quale si individueranno le fusioni legamentose con gli apici ossei, i quali sono appunto la causa primaria di anchilosi articolare.
Una volta effettuato l’esame ai raggi X, il medico di base valuterà l’entità della patologia, e indirizzerà il paziente verso lo specialista ortopedico più indicato per la risoluzione del problema.
La cura per l’anchilosi articolare può essere di due tipologie, le quali dipendono dal fatto che essa sia di tipo parziale o totale.
Nel caso di anchilosi parziale, spesso è sufficiente rivolgersi a un fisioterapista, che con sedute di massaggi e terapie specifiche provvederà a ripristinare in modo del tutto naturale e non invasivo la mobilità dell’articolazione colpita.
Qualora invece il paziente presenti un’anchilosi articolare totale, è inevitabile il ricorso alla terapia chirurgica.
Gli interventi di chirurgia ortopedica per l’anchilosi articolare possono avere un diverso fine, a seconda che si debba ridurre il grado di rigidità dell’articolazione anchilosata, rimodellando quindi i difetti dell’articolazione a livello di postura, oppure che si debba invece restituire al paziente la completa mobilità articolare.
Gli interventi di riduzione della rigidità dell’anchilosi articolare sono in genere destinati all’osteotomia, ossia alla rimozione del blocco causato dalla fusione di legamento e frammenti ossei, e procedendo senza minimamente coinvolgere l’articolazione anchilosata.
Qualora invece l’articolazione abbia subito un danno irreversibile ad opera dell’anchilosi articolare, si procederà ad una vera e propria ricostruzione dell’articolazione stessa per via chirurgica.
Tale intervento prende il nome di artroplastica, e consiste nell’impianto di protesi articolari al fine di ripristinare una corretta mobilità.
Solitamente gli interventi di artroplastica si effettuano su articolazioni quali:
Le articolazioni artificiali sono di norma composte da leghe metalliche, ceramiche e plastica, e hanno lo scopo di svolgere la funzione dell’articolazione originale, riducendo sensibilmente rigidità e dolore nel paziente che si è sottoposto all’intervento.
Chiaramente il decorso post-operatorio a seguito ai un intervento di questo tipo è molto lungo: infatti va dai 3 ai 6 mesi, e prevede la riabilitazione del paziente al fine di prendere confidenza con la nuova articolazione, sviluppando nuovamente la piena capacità motoria.
Inoltre questa tipologia di intervento chirurgico si presta a controindicazioni dovute all’avanzare dell’età: superati infatti i 40 anni, il fisico del paziente potrebbe essere soggetto a un recupero molto più lento, così come a una riuscita parziale o addirittura a un insuccesso totale dell’artroplastica stessa.
Infine va sottolineato come, essendo una tecnica di recente impiego, l’artroplastica ha una percentuale di successi in costante crescita, così come un utilizzo articolare sempre più ampio: infatti dalla sola articolazione del gomito, oggi i medici riescono ad applicarla alla serie sopra elencata di articolazioni, con buone percentuali di risuscita e con recuperi quasi totali della mobilità articolare da parte dei pazienti.
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